TOTÒ JAZZ
Giuseppe Bassi contrabbasso
Ettore Carucci pianoforte
Guido Di Leone chitarra
Enzo Lanzo batteria
Registrato a Bari presso gli studi “Sorriso” i giorni 8 e 9 luglio 2002
Engineering: Tommy Cavalieri
Grafica: Antonio Delvecchio
Produzione esecutiva Francesco Panasci per Panastudio productions
EVVIVA! CHE BEL MODO DI “TRADURRE LA MOSICA DI MIO PADRE”, JAZZ,
JAZZ, JAZZ ED ANCORA JAZZ! SONO ASSOLUTAMENTE SICURA CHE SE TOTÒ AVESSE ASCOLTATO I VOSTRI ARRANGIAMENTI, NE SAREBBE RIMASTO RAPITO, ESATTAMENTE COME É SUCCESSO A ME, LA VOSTRA ORIGINALITÀ NELL’INTERPRETARE “JAZZ WISE” L’UMANITÀ E LA NAPOLETANEITÀ DI TOTÒ VI RENDE UNICI E MOLTO VICINI A ME, A PAPÀ E A TUTTI !
TOTOISTI, A PRESCINDERE … TANTISSIME AFFETTUOSITA, QUISQUILIE
PINZILLACCHERE E CHI PIÙ NE HA NE METTA,
MOSICA, MOSICA, MOSICA
LILIANA DE CURTIS (14 OTTOBRE 2002) .
Affascinante l’idea di interpretare, in chiave jazzistica, le musiche del grande Toto.
L’infaticabile e prolifico Giuseppe Bassi, dall’alto del suo magnifico contrabbasso, ha riunito “La Banda degli Onesti”, un quartetto di espertissimi musici, autori di un progetto molto ben realizzato, che ha dato vita ad esecuzioni gradevoli e divertenti. Vi si sente un Guido Di Leone in ottima forma con un fraseggio logico e pieno di allusioni, Ettore Carucci una squisita sorpresa e Vincenzo Lanzo l’ideale sostegno ritmico al clima di quest’ultima fatica.
Arrangiate con buon gusto, le canzoni di Totò ci suggeriscono che le note musicali possono avere infinite collocazioni e che, tutto sommato, la musica è una! Applausi, applausi, applausi. FRANCO CERRI
Quest’album è un divertissement intelligente, un omaggio in punta di humour alle canzoni legate ai film, o anche alla penna, del grande Totò. Temi, melodie che stanno al percorso jazzistico del quartetto come la trama all’ornato. Canzoni e tematiche centrali nel dirigere la narrazione, che pure evidenzia lo swing e la perizia improvvisativa dei quattro componenti di un gruppo titolato come l’indimenticabile film di Totò, Peppino e della non trascurabile spalla Giacomo Furia. Un quartetto che non si nasconde dietro il progetto ma lo interpreta con impegno e ironia, allestendo un mosaico in cui non si scimmiottano in jazz le melodie care al principe De Curtis, ma si concepisce la musica afroamericana, peraltro suonata bene nella linea del cosiddetto modern o contemporary mainstream, come componente
“emotiva” dell’album, come veicolo da utilizzare per esprimere il feeling e l’entusiasmo
verso l’arte di Totò. Il jazz come l’aria dell’opera lirica, sublimazione del recitativo che qui è rappresentato dal testi sonori cari al grande attore napoletano. Maurizio Franco
E’ buffo come, in un’epoca in cui il disimpegno è forte e molti artisti cerchino di esprimere attraverso la ricerca e spesso anche la sofferenza un mondo che sempre più cade a pezzi, io che mi considero incline a questa tendenza possa aver apprezzato davvero un disco come questo che potrebbe essere considerato un disco “facile”. L’ho apprezzato per due ragioni fondamentali: la prima è per quella schiettezza e sincerità con cui è stato realizza-to, la seconda perché è riuscito a catturare quel messaggio che il Principe, Totò, voleva giustamente regalarci. Un sorriso ed una poesia, così, senza pretese, per rendere migliori tutti gli attimi che fanno una vita. Una pernacchia a tutto il brutto che la circonda! Grazie amici per questo atto di amore e swing. Credo che il Principe lo apprezzerà. Roberto Ottaviano
Un disco “a prescindere”. Così lo vedo, così lo sento e così amo definirlo, prendendo in prestito proprio un’espressione cara al grande Principe De Curtis. Questo è, infatti, un lavoro sulla musica di Totò a prescindere da Totò stesso, dalla sua fenomenologia più comune, lalle sue battute più note, dalle sue icone più abusate nei recuperi del copywriting pubbli-itario e del macchiettismo televisivo di oggi. Qui, invece, emerge, con discrezione, un Totò risto tra le pieghe del suo personalissimo abbandono melodico e tra le note di alcune delle olonne sonore dei suoi film. Ed anche in questo recupero, silenzioso e minore, si delinea erfettamente la maschera melan-comica di un grande, omaggiato da un’espressione jaz-istica che ne esalta con garbo l’innata commistione di poesia e ironia di cui essa è impa-tata. Il tutto, prendendo ispirazione da temi musicali caratterizzati da una fortissima acces-ibilità popolare, elemento che rimane vincente e facilmente intelligibile anche negli svilup-i armonici di grappoli di note e di successioni ritmiche che lo trasformano e lo trasfigura-1o. Quasi che il “motivetto”, preso e subito abbandonato, sappia sempre trovare da solo la trada di casa. Come Mustafa, il cane riccioluto e buffo de La banda degli onesti.
Giuseppe P. Dimagli
Totò. A cercare di scrivere qualcosa su di lui, oggi, si rischia di cadere nel retorico e nel deja ecoutè. Del “principe della risata” è stato scritto e detto tutto quello che era possibile. C’è pero un aspetto poco noto della sua vita, che pochi (si veda Vincenzo Mollica, “Totò, parole e musica”, Lato Side editori) hanno studiato con attenzione: quello di autore di canzoni.
Tutti conoscono e canticchiano Malafemmena – sulla quale l’Italia del gossip si continua ancora ad interrogare: è per la moglie o per la Pampanini? – e tutti credono che sia l’unica canzone scritta da Totò. Di canzoni, invece, Totò – o meglio: il principe De Curtis – ne aveva scritte un bel po’, circa una quarantina, senza contare quelle per la rivista e l’avanspettaco-lo. Sono canzoni d’amore, con i classici ingredienti che la tradizione napoletana chiede: melodia, sentimento e malinconia. Ben lontane, dunque, dalla prorompente vis comica che il cinema prima e la Tv dopo hanno reso immortale, e che il principe De Curtis, scriveva così, di getto, all’improvviso. Ecco. Si presti un attimo attenzione a questa locuzione, “all’im-provviso”, che spiega poi il perché di questo disco – un disco di jazz – che avete tra le mani.
Totò – e qui vogliamo essere retorici – è stato il più grande talento comico che il mondo dello spettacolo abbia mai espresso. Un talento naturale, che, mangiando pane e avanspettacolo, ha sublimato l’arte dell’improvvisazione. Tutto in Totò era improvvisato, costruito sul momento (partners permettendo ovviamente) e non c’era canovaccio che reggesse il suo genio. Così come i suoi sketches, anche le sue canzoni avevano un che di istintivo e di naif, pur se inserite nella grande tradizione melodica italiana. Ecco perchè un omaggio a Toto, alle sue canzoni, ai suoi film, non poteva non venire dal mondo del jazz, che come il Nostro, ha reso immortale l’arte dell’improvvisazione. Il paragone vi sembra improprio? Ascoltate questo disco – ricco di swing, humour, fantasia, e voluto da quattro dei musicisti più in vista della scena pugliese, con percorsi diversi alle spalle, dal free, al bop, alla bossa nova – e vi renderete conto che l’ars improvvisandi di Totò e quella del jazz non sono poi cosi lontane.
Rivestite di un elegante abito West Coast – il più vicino ai film della maturità di Toto e specchio fedele dell’Italia dell’epoca – le sue composizioni acquistano qui una freschezza davvero particolare. La cartina di tornasole è ancora una volta Malafemmena, qui in una versione cameristica di rara bellezza lontana dalle tante versioni kitch che avrebbero fatto inorridire il suo autore (“Ma mi facci il piacere!!…” avrebbe sentenziato), senza tralasciare Core analfabeta, trattata come una ballad che avrebbe fatto invidia a Dexter Gordon. Un disco sincero e onesto, proprio come quella banda di scalcinati falsari che falsari non riescono proprio ad esserlo, o a quei soliti ignoti improvvisatisi ladri per necessità.
Pierpaolo Faggiano (www.allaboutjazz.com)
Non avrei mai immaginato che un giorno avrei potuto suonare ricordando TOTO’! Per que-sto, infatti, mi sembra ancora cosi strano questo ultimo nostro progetto musicale! E’ forse la prima volta che un progetto musicale si realizza davvero per caso. Posso asserire che il progetto “Totò jazz” è nato con molta diffidenza. Il problema, infatti, era di come rendere alcune delle più famose canzoni di Totò secondo una interpretazione jazzistica che non ponesse in risalto un arrangiamento per cosi dire deturpante della melodia, e non proponesse un’armonia tanto lontana dalle canzoni esaminate. Tutto il lavoro invece, elaborato con una visione swingante, ha dato inaspettate soddisfazioni, fermo restando che è stato davvero difficile dimenticare le interpretazioni più comuni, più diffuse e purtroppo anche più brutte della musica che esaminavamo. Attingendo dunque da materiale rigorosamente ori-ginale, grazie anche al prezioso contributo di Giacomo Rondinella, siamo oggi “fieri” di presentare una musica onesta (ecco il motivo per cui casualmente pensai che il nome del quartetto dovesse essere “La Banda Degli Onesti”) e profondamente attuale secondo il nostro punto di vista puramente jazzistico. Presumo che Toto amasse molto il contrabbasso, voglio pensare anche per il fatto che un po’ esso richiama le curve del corpo di una donna. Questo è il motivo per cui, grazie alla pazienza dei miei compagni, proprio al contrabbasso abbiamo dato spesso la voce per cantare alcune canzoni. lo personalmente innamorato della musica che solo Ray Brown ha potuto regalare al mondo, ho immaginato il suo contrabbasso alle prese con Carmè o con Miss, mia cara Miss ecc. La cosa che più mi gratifica di questo nostro ultimo progetto, è l’amore che ha animato ogni nostra prova o esecuzione.
Un amore che oggi lega noi quattro musicisti italani in un modo che non avevo mai speri-mentato. Amo pensare che sia l’amore che abbiamo attentamente osservato nelle canzoni del nostro Totò. Egli asseriva che: “la felicità non esiste”. Pensate allora a quanto può valere una sana risata e un disimpegnato buon umore! Dedico questa musica a mia moglie Alessia. Giuseppe Bassi
Registrato a Bari presso gli studi “Sorriso” i giorni 8 e 9 luglio 2002
Engineering: Tommy Cavalieri
Grafica: Antonio Delvecchio
Produzione esecutiva Francesco Panasci per Panastudio productions
EVVIVA! CHE BEL MODO DI “TRADURRE LA MOSICA DI MIO PADRE”, JAZZ,
JAZZ, JAZZ ED ANCORA JAZZ! SONO ASSOLUTAMENTE SICURA CHE SE TOTÒ AVESSE ASCOLTATO I VOSTRI ARRANGIAMENTI, NE SAREBBE RIMASTO RAPITO, ESATTAMENTE COME É SUCCESSO A ME, LA VOSTRA ORIGINALITÀ NELL’INTERPRETARE “JAZZ WISE” L’UMANITÀ E LA NAPOLETANEITÀ DI TOTÒ VI RENDE UNICI E MOLTO VICINI A ME, A PAPÀ E A TUTTI !
TOTOISTI, A PRESCINDERE … TANTISSIME AFFETTUOSITA, QUISQUILIE
PINZILLACCHERE E CHI PIÙ NE HA NE METTA,
MOSICA, MOSICA, MOSICA
LILIANA DE CURTIS (14 OTTOBRE 2002) .
Affascinante l’idea di interpretare, in chiave jazzistica, le musiche del grande Toto.
L’infaticabile e prolifico Giuseppe Bassi, dall’alto del suo magnifico contrabbasso, ha riunito “La Banda degli Onesti”, un quartetto di espertissimi musici, autori di un progetto molto ben realizzato, che ha dato vita ad esecuzioni gradevoli e divertenti. Vi si sente un Guido Di Leone in ottima forma con un fraseggio logico e pieno di allusioni, Ettore Carucci una squisita sorpresa e Vincenzo Lanzo l’ideale sostegno ritmico al clima di quest’ultima fatica.
Arrangiate con buon gusto, le canzoni di Totò ci suggeriscono che le note musicali possono avere infinite collocazioni e che, tutto sommato, la musica è una! Applausi, applausi, applausi. FRANCO CERRI
Quest’album è un divertissement intelligente, un omaggio in punta di humour alle canzoni legate ai film, o anche alla penna, del grande Totò. Temi, melodie che stanno al percorso jazzistico del quartetto come la trama all’ornato. Canzoni e tematiche centrali nel dirigere la narrazione, che pure evidenzia lo swing e la perizia improvvisativa dei quattro componenti di un gruppo titolato come l’indimenticabile film di Totò, Peppino e della non trascurabile spalla Giacomo Furia. Un quartetto che non si nasconde dietro il progetto ma lo interpreta con impegno e ironia, allestendo un mosaico in cui non si scimmiottano in jazz le melodie care al principe De Curtis, ma si concepisce la musica afroamericana, peraltro suonata bene nella linea del cosiddetto modern o contemporary mainstream, come componente
“emotiva” dell’album, come veicolo da utilizzare per esprimere il feeling e l’entusiasmo
verso l’arte di Totò. Il jazz come l’aria dell’opera lirica, sublimazione del recitativo che qui è rappresentato dal testi sonori cari al grande attore napoletano. Maurizio Franco
E’ buffo come, in un’epoca in cui il disimpegno è forte e molti artisti cerchino di esprimere attraverso la ricerca e spesso anche la sofferenza un mondo che sempre più cade a pezzi, io che mi considero incline a questa tendenza possa aver apprezzato davvero un disco come questo che potrebbe essere considerato un disco “facile”. L’ho apprezzato per due ragioni fondamentali: la prima è per quella schiettezza e sincerità con cui è stato realizza-to, la seconda perché è riuscito a catturare quel messaggio che il Principe, Totò, voleva giustamente regalarci. Un sorriso ed una poesia, così, senza pretese, per rendere migliori tutti gli attimi che fanno una vita. Una pernacchia a tutto il brutto che la circonda! Grazie amici per questo atto di amore e swing. Credo che il Principe lo apprezzerà. Roberto Ottaviano
Un disco “a prescindere”. Così lo vedo, così lo sento e così amo definirlo, prendendo in prestito proprio un’espressione cara al grande Principe De Curtis. Questo è, infatti, un lavoro sulla musica di Totò a prescindere da Totò stesso, dalla sua fenomenologia più comune, lalle sue battute più note, dalle sue icone più abusate nei recuperi del copywriting pubbli-itario e del macchiettismo televisivo di oggi. Qui, invece, emerge, con discrezione, un Totò risto tra le pieghe del suo personalissimo abbandono melodico e tra le note di alcune delle olonne sonore dei suoi film. Ed anche in questo recupero, silenzioso e minore, si delinea erfettamente la maschera melan-comica di un grande, omaggiato da un’espressione jaz-istica che ne esalta con garbo l’innata commistione di poesia e ironia di cui essa è impa-tata. Il tutto, prendendo ispirazione da temi musicali caratterizzati da una fortissima acces-ibilità popolare, elemento che rimane vincente e facilmente intelligibile anche negli svilup-i armonici di grappoli di note e di successioni ritmiche che lo trasformano e lo trasfigura-1o. Quasi che il “motivetto”, preso e subito abbandonato, sappia sempre trovare da solo la trada di casa. Come Mustafa, il cane riccioluto e buffo de La banda degli onesti.
Giuseppe P. Dimagli
Totò. A cercare di scrivere qualcosa su di lui, oggi, si rischia di cadere nel retorico e nel deja ecoutè. Del “principe della risata” è stato scritto e detto tutto quello che era possibile. C’è pero un aspetto poco noto della sua vita, che pochi (si veda Vincenzo Mollica, “Totò, parole e musica”, Lato Side editori) hanno studiato con attenzione: quello di autore di canzoni.
Tutti conoscono e canticchiano Malafemmena – sulla quale l’Italia del gossip si continua ancora ad interrogare: è per la moglie o per la Pampanini? – e tutti credono che sia l’unica canzone scritta da Totò. Di canzoni, invece, Totò – o meglio: il principe De Curtis – ne aveva scritte un bel po’, circa una quarantina, senza contare quelle per la rivista e l’avanspettaco-lo. Sono canzoni d’amore, con i classici ingredienti che la tradizione napoletana chiede: melodia, sentimento e malinconia. Ben lontane, dunque, dalla prorompente vis comica che il cinema prima e la Tv dopo hanno reso immortale, e che il principe De Curtis, scriveva così, di getto, all’improvviso. Ecco. Si presti un attimo attenzione a questa locuzione, “all’im-provviso”, che spiega poi il perché di questo disco – un disco di jazz – che avete tra le mani.
Totò – e qui vogliamo essere retorici – è stato il più grande talento comico che il mondo dello spettacolo abbia mai espresso. Un talento naturale, che, mangiando pane e avanspettacolo, ha sublimato l’arte dell’improvvisazione. Tutto in Totò era improvvisato, costruito sul momento (partners permettendo ovviamente) e non c’era canovaccio che reggesse il suo genio. Così come i suoi sketches, anche le sue canzoni avevano un che di istintivo e di naif, pur se inserite nella grande tradizione melodica italiana. Ecco perchè un omaggio a Toto, alle sue canzoni, ai suoi film, non poteva non venire dal mondo del jazz, che come il Nostro, ha reso immortale l’arte dell’improvvisazione. Il paragone vi sembra improprio? Ascoltate questo disco – ricco di swing, humour, fantasia, e voluto da quattro dei musicisti più in vista della scena pugliese, con percorsi diversi alle spalle, dal free, al bop, alla bossa nova – e vi renderete conto che l’ars improvvisandi di Totò e quella del jazz non sono poi cosi lontane.
Rivestite di un elegante abito West Coast – il più vicino ai film della maturità di Toto e specchio fedele dell’Italia dell’epoca – le sue composizioni acquistano qui una freschezza davvero particolare. La cartina di tornasole è ancora una volta Malafemmena, qui in una versione cameristica di rara bellezza lontana dalle tante versioni kitch che avrebbero fatto inorridire il suo autore (“Ma mi facci il piacere!!…” avrebbe sentenziato), senza tralasciare Core analfabeta, trattata come una ballad che avrebbe fatto invidia a Dexter Gordon. Un disco sincero e onesto, proprio come quella banda di scalcinati falsari che falsari non riescono proprio ad esserlo, o a quei soliti ignoti improvvisatisi ladri per necessità.
Pierpaolo Faggiano (www.allaboutjazz.com)
Non avrei mai immaginato che un giorno avrei potuto suonare ricordando TOTO’! Per que-sto, infatti, mi sembra ancora cosi strano questo ultimo nostro progetto musicale! E’ forse la prima volta che un progetto musicale si realizza davvero per caso. Posso asserire che il progetto “Totò jazz” è nato con molta diffidenza. Il problema, infatti, era di come rendere alcune delle più famose canzoni di Totò secondo una interpretazione jazzistica che non ponesse in risalto un arrangiamento per cosi dire deturpante della melodia, e non proponesse un’armonia tanto lontana dalle canzoni esaminate. Tutto il lavoro invece, elaborato con una visione swingante, ha dato inaspettate soddisfazioni, fermo restando che è stato davvero difficile dimenticare le interpretazioni più comuni, più diffuse e purtroppo anche più brutte della musica che esaminavamo. Attingendo dunque da materiale rigorosamente ori-ginale, grazie anche al prezioso contributo di Giacomo Rondinella, siamo oggi “fieri” di presentare una musica onesta (ecco il motivo per cui casualmente pensai che il nome del quartetto dovesse essere “La Banda Degli Onesti”) e profondamente attuale secondo il nostro punto di vista puramente jazzistico. Presumo che Toto amasse molto il contrabbasso, voglio pensare anche per il fatto che un po’ esso richiama le curve del corpo di una donna. Questo è il motivo per cui, grazie alla pazienza dei miei compagni, proprio al contrabbasso abbiamo dato spesso la voce per cantare alcune canzoni. lo personalmente innamorato della musica che solo Ray Brown ha potuto regalare al mondo, ho immaginato il suo contrabbasso alle prese con Carmè o con Miss, mia cara Miss ecc. La cosa che più mi gratifica di questo nostro ultimo progetto, è l’amore che ha animato ogni nostra prova o esecuzione.
Un amore che oggi lega noi quattro musicisti italani in un modo che non avevo mai speri-mentato. Amo pensare che sia l’amore che abbiamo attentamente osservato nelle canzoni del nostro Totò. Egli asseriva che: “la felicità non esiste”. Pensate allora a quanto può valere una sana risata e un disimpegnato buon umore! Dedico questa musica a mia moglie Alessia. Giuseppe Bassi